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La Redazione

intervista a Kateřina Bohadlová


Il Teatro Civile oltre le frontiere

intervista a Kateřina Bohadlová
di Letizia Bernazza


Dopo la pubblicazione del mio ultimo libro, Frontiere di Teatro Civile (edito da Editoria&Spettacolo), uno studio sul lavoro drammaturgico e attoriale di cinque autori-attori-registi (Daniele Biacchessi, Roberta Biagiarelli, Alessandro Langiu, Elena Guerrini, Ulderico Pesce) che si muovono lungo la direttrice dell’impegno civile, ho sentito la necessità di andare avanti con la mia ricerca. Non solo per confrontarmi con lo sguardo di altri Paesi sul Teatro Civile italiano, ma soprattutto per capire  in che modo in altri luoghi ci si interroga su tematiche simili. Un passo fondamentale per avviare una riflessione sulle “frontiere” culturali e teatrali italiane in nome di un’urgenza civile che, forse, non appartiene soltanto alla nostra comunità e che porta inevitabilmente a spingersi “oltre le frontiere” con lo scopo di riscoprire il valore dell’arte del Teatro al servizio dello spettatore-cittadino proprio in quanto arte fondata per sua natura sulla relazione umana e, quindi, dinamicamente volta a tenere salda la relazione Singolo-Altri.
Praga è stata la prima tappa di questo cammino. Il 12 novembre scorso, la Società Dante Alighieri mi ha invitato a presentare il mio libro. L’incontro, coordinato dalla studiosa e agente teatrale Kateřina Bohadlová, ha suggerito un dibattito ricco e stimolante con i partecipanti. Passato qualche mese, proprio a lei mi sono rivolta per rimettere insieme i tasselli di quella giornata, invitandola a rispondere ad alcune domande.

 - Cosa esprime secondo te il Teatro Civile italiano?

Quando a Praga ho presentato il tuo libro, ho scoperto per la prima volta il Teatro Civile e mi sono chiesta che cosa fosse esattamente. Un teatro impegnato? Un teatro politico? Il contrario di un “teatro incivile”, ammesso che ce ne sia uno? Conosco alcuni autori italiani contemporanei, tra questi anche dei rappresentanti del Teatro di Narrazione, e so che per Ascanio Celestini, ad esempio, tutto il Teatro viene considerato politico proprio perché si tratta di un atto pubblico. Poi, però, leggendo attentamente Frontiere di Teatro Civile mi si è rivelato un Teatro che si interroga in maniera critica su problematiche specifiche della collettività: sociali, politiche, economiche, ambientali, che riguardano da vicino l’individuo e la sua comunità, della quale si vogliono ricostruire l’Identità, la Memoria e la Storia. Senza escludere la possibilità di condurre lo spettatore-cittadino a prendere delle posizioni rispetto alle vicende raccontate. È esagerato dire che si tratta di un Teatro che contribuisce a pensare un Mondo più giusto?


- Nella Repubblica Ceca, in particolare a Praga dove vivi, conosci artisti o compagnie che si avvicinano al nostro Teatro Civile? Oppure esistono altre modalità d’espressione?

Direi che il Teatro Civile italiano corrisponde nella Repubblica Ceca al fenomeno del Teatro Impegnato, vale a dire un teatro che si è fatto carico, e si fa carico ancora oggi, di affrontare le questioni cruciali della società.
Nella seconda metà del Novecento, il nemico numero uno era il regime comunista. E siccome non era possibile esprimere le proprie opinioni, l’arte underground ha avuto il ruolo di prendere posizione e di manifestare il dissenso contro il potere politico, anche se sempre con grandi difficoltà. Dopo la caduta del muro, finalmente agli artisti è stata concessa l’opportunità di uscire allo scoperto e di pubblicare i loro testi. Mi riferisco ai drammi di autori importanti, conosciuti anche all’estero, che si sono confrontati con il passato totalitario del mio Paese: Václav Havel, Milan Uhde, Pavel Kohout. Soltanto una decina d’anni fa, poi, è emerso il fenomeno di un Teatro Impegnato simile al Teatro Civile italiano. Si tratta, nel dettaglio, di un tipo di teatro che ripropone processi politici e sociali del passato e del presente. Fra gli artisti principali voglio ricordare: Miroslav Bambušek; Jiří Adámek e la sua compagnia Bocalocalab; Petr Boháč, fondatore della Spitfire Company e la giovane compagnia Divadlo Feste.


- Quali sono i contenuti che veicolano le loro messinscene e da che cosa è caratterizzato il linguaggio espressivo?

C’è sempre la necessità di confrontarsi con il regime subìto. La Spitfire Company, ad esempio, pochi mesi fa ha concepito uno spettacolo costruito sui processi politici degli anni Cinquanta, periodo in cui molte persone furono condannate a morte per delitti mai commessi. Si trattò di una terribile impostura con dei processi vergognosi che assomigliavano a dei veri e propri spettacoli teatrali dal finale drammaticamente vero. Lo spettacolo Procesy 10/48/7830  (Processo 10/48/7830) si è svolto a Praga nella medesima sala della Suprema Corte dove, tra il maggio e il giugno del 1950, la dottoressa Milada Horáková fu dapprima processata e poi condannata a morte per spionaggio e cospirazione contro il regime comunista. Nella messinscena, giocata quasi totalmente sul registro del “non-verbale”, il regista ha inserito in diversi passaggi la voce dell’accusata recuperata dalle registrazioni originali. Sessant’anni dopo, l’effetto ha avuto un grande impatto emotivo sugli spettatori.
Un altro lavoro da menzionare è quello fatto da Miroslav Bambušek nella ex-miniera di carbone di Ostrava, una città a nord-est della Repubblica Ceca. Un luogo dove, alla metà del Novecento, accaddero terribili incidenti mai denunciati e mai resi noti all’opinione pubblica. Il regista, dopo aver fatto numerose ricerche, ha realizzato Zdař Bůh! (Salve Dio!), creato proprio a partire dalle testimonianze e dai documenti originali reperiti subito dopo la caduta del muro.
Infine, vorrei menzionare l’attività di Jiří Adámek, il quale sviluppa una scrittura drammaturgica del tutto originale, studiando ed elaborando i commenti e i dialoghi messi in rete dagli internauti. Qualche anno fa, ha portato in scena Click on the Video basato sui commenti on-line sull’esecuzione di Saddam Hussein. 
Tutti gli esempi che ho fatto rivelano una propria specificità drammaturgica ed espressiva e nella realizzazione hanno, a mio avviso, delle differenze sostanziali con il Teatro Civile italiano. Per dirne una: il racconto non viene quasi mai veicolato da un solo attore, che ha anche il ruolo di autore e di regista. Al contrario, c’è quasi sempre un lavoro collettivo, con una compagnia di riferimento, un drammaturgo, un regista. Semmai il comune denominatore è da rintracciare nella volontà di condividere con gli spettatori delle “verità” che appartengono alla Storia e alla Memoria del Paese.


- Gli autori-attori-registi del Teatro Civile italiano si muovono perlopiù in spazi non-convenzionali, fuori dai circuiti ufficiali. Accade lo stesso da voi?

Da noi, c’è di tutto. Ultimamente aumentano gli spettacoli messi in scena fuori dagli spazi convenzionali, nei cosiddetti site specific. Per quanto mi riguarda, sono favorevole a questa tendenza perché la “pluralità” degli spazi rafforza in molti casi l’effetto finale dello spettacolo e offre a chi partecipa un’alternativa, un’esperienza diversa.

- Quale tipo di pubblico richiamano gli spettacoli di impegno civile?

Gli spettacoli del Teatro Impegnato sono considerati alternativi o sperimentali e richiamano di solito  gente aperta alle novità, persone perlopiù progressiste che riflettono i cambiamenti della società democratica e riformista nata dopo il totalitarismo. O giovani che credono nel potere del Teatro: nella sua forza capace di creare un immaginario collettivo e di suscitare un atteggiamento critico.

- In Italia, a parte il caso di artisti molto noti, non c’è da parte della critica e delle Istituzioni teatrali un sostegno reale verso coloro i quali con le loro messinscene cercano di ristabilire un legame importante con la comunità di appartenenza. Nella Repubblica Ceca pensi ci sia invece un’attenzione diversa?

Credo che il Teatro Civile abbia in generale il potere di riaprire “vecchi cassetti” della Storia, spesso chiusi troppo presto anche per la volontà di farli dimenticare. I colpevoli sono il più delle volte potenti che utilizzano ogni strumento a loro disposizione per impedire lo svelamento di fatti scomodi. Quando si tratta di storie passate, da un punto di vista politico, è più facile parlarne attraverso uno spettacolo, sebbene restino comunque le difficoltà economiche per realizzarlo (il Teatro non gode di grande salute neanche nella Repubblica Ceca!). C’è da dire, tuttavia, che rispetto agli anni post-rivoluzionari, oggi si registra un progressivo sviluppo del Teatro d’Impegno. Un dato importante soprattutto perché noi Cechi siamo molto cauti e poco coraggiosi nei confronti delle novità e dei cambiamenti, al punto da poter celebrare con convinzione un dramma contemporaneo sulle nostre scene soltanto se prima lo stesso ha avuto un vero riconoscimento in Germania, in Inghilterra o negli Usa.


- Credi che possa esistere un Teatro Civile europeo?

Secondo me un Teatro Civile europeo esiste già. Ogni nazione ha il proprio e i risultati possono essere diversi anche se si trattano argomenti simili. Mi auguro che in futuro si moltiplichino le occasioni di confronto e di discussione tra le comunità teatrali: aiuterebbe a comprendere meglio le diversità nazionali e le eterogeneità culturali, rendendo più armonico e fattivo il dialogo fra le società. Auguriamocelo per il 2011.